mercoledì 24 aprile 2024

Accadde il 25 aprile 1963

Dal diario di Giuseppina Cassano, moglie di Teodoro D'amici

- Giorno 25 Aprile 1963

""     Come tutte le sere immancabilmente Teodoro con noi suoi familiari ed altri fedeli, anche quella sera ci recammo alla Madonna, in campagna, per recitare il S. Rosario. 

    Alla fine della preghiera come al solito ci spostammo sulla strada asfaltata per recitare le 15 Ave Maria. Erano le ore 23,00. 
    Ad un tratto Teodoro cominciò ad essere impaziente, cioè fuori di sé, ebbe sintomi di evidente malessere. 
    Questo succedeva ogni qualvolta che stava per avverarsi qualcosa. Infatti egli vide subito illuminarsi la chiesa. 
    In quel mentre si sentì spingere da una mano invisibile, che appoggiata sulla sua schiena lo spingeva automaticamente verso il muro della Madonna, egli vi arrivò in un lampo, senza poggiare piede alcuno su una striscia di terreno, il quale era fortemente accidentato ed impraticabile. 
    C'erano pozzanghere, cumuli di rifiuti, terreno scosceso, disseminato di alberi abbattuti in precedenza allo scopo di pianificare il terreno. 
    Eravamo circa sessanta persone, rimanemmo tutti meravigliati del miracolo quasi da non poter credere a ciò che avevamo visto i nostri occhi. 
    Dopo circa cinque minuti visto che Teodoro non tornava siamo andati a raggiungerlo, per fare ciò, fummo costretti a fare un percorso differente da quello che aveva fatto Teodoro. 
Appena arrivati vedemmo Teodoro inginocchiato davanti al quadro della Madonna che la invocava piangendo. Uno di noi volle aiutarlo ad alzarsi, ma lui restando sempre inginocchio disse: "Appena sono arrivato qui ho visto al mio fianco, presso l’inginocchiatoio un vecchietto con la barba bianca che mi attendeva. Nell’inginocchiarmi aveva appoggiato il suo braccio al mio sin da toccarmi."
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Invito al Santuario Maria Madre della Chiesa Jaddico Brindisi

Appuntamenti Aprile 2024

Questa sera (25 aprile 2024) ricorre la data in cui a Jaddico si illumina in maniera prodigiosa il muro, ma si verifica anche uno di quelli che sono stati chiamati i "voli" di Teodoro. Durante la messa delle 18.30, all'inizio della messa, verrà fatta lettura della testimonianza appena inviata. (fonte: da WhatsApp del 24 aprile 2024 Servi della Madonna)  

martedì 9 aprile 2024

PER RICORDARE TEODORO - UN BUSTO SUL PIAZZALE DI JADDICO

Il Prof. Giuseppe Marzano mentre perfeziona alcuni particolari del busto di Teodoro.

Il busto di Teodoro D'Amici posizionato sul piazzale del Santuario di Jaddico.



Il busto di Teodoro D’Amici e il mio amico testimone di Geova.

 

    Nel dicembre 1994 viene collocato sul piazzale del Santuario di Jaddico il busto che ricorda la persona di Teodoro D'Amici, l'uomo che la Madonna scelse e al quale affidò i suoi progetti riguardanti la realizzazione di una chiesa. Sempre nello stesso mese, il 18 dicembre, il busto viene scoperto e benedetto dai Padri Carmelitani Scalzi, nella persona del Rettore del Santuario, Padre Mario Pichierri.

    In questo numero vogliamo ricordare alcuni particolari circa le difficoltà trovate nella realizzazione del busto e le modalità con cui si è arrivati a stabilire la fedele somiglianza tra il busto realizzato e il volto di Teodoro.  

 

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Ho sempre pensato che per rendere autentica una testimonianza bisogna scrivere nome e cognome della persona che ci consente di raccontare quanto è accaduto; questa volta però non è possibile farlo, perché il mio amico, pur volendomi incontrare per rileggere e così confermare la fedeltà di quanto narrato in riferimento ai fatti realmente accaduti, è sempre stato impegnato, così mi dice e, di conseguenza, abbiamo sempre rimandato a nuovi appuntamenti.

Questo è quello che è accaduto per mesi e mesi, forse per più di un anno, per cui l'ultima volta che gli ho rinnovato la richiesta, giacché mi diceva di essere disponibile all'incontro e mi indicava anche una data, gli ho detto: "quando arriverà il momento, ti telefonerò per la conferma dell'incontro e sicuramente mi dirai che sei impegnato, quindi non ti chiamo più ma aspetterò una tua telefonata, tanto conosci il mio numero". Era l'unico modo per farlo venire allo scoperto e capire se veramente voleva autorizzare la pubblicazione del brano. Dopo quella volta questa telefonata non è mai arrivata.

Quindi non avendo avuto la sua autorizzazione a scrivere quello che più avanti leggeremo, non posso scrivere il suo nome (e nemmeno il cognome), ma userò un nome di fantasia.

Benedetta privacy!

Lo chiameremo Benedetto.

E’ una vecchia amicizia quella che mi lega a Benedetto, ma forse devo dire antica.

Il primo ricordo che ho di lui è di quando in banca doveva cambiare un assegno e quel cassiere gli chiese se era conosciuto da qualcuno e lui indicò me. Io dissi di non conoscerlo.

Sicuramente avevamo chiacchierato prima di quella giornata, forse gli avevo già fatto qualche operazione allo sportello, ma la mia, come sempre dico, non è una buona memoria.

Ci rimase male, poi facemmo amicizia ed entrammo in confidenza.

Veniva spesso in banca per sbrigare operazioni per conto della ditta presso la quale lavorava, finché un giorno, in una mattinata di rara tranquillità, appena lo vidi entrare in banca gli passai una telefonata: “Benedetto, una telefonata per te”, e subito gli consegnai la cornetta del telefono.

Pochi secondi prima avevo fatto il numero del custode del cimitero, per cui lui ebbe appena il tempo di sentire un ultimo squillo e poi sentirsi dire: “Chi parla?”

Capì subito e si affrettò a scusarsi quasi balbettando.

Con gli altri colleghi, complici per avere con loro architettato la manovra, eravamo lì a guardarlo e aspettavamo una sua reazione. Invece Benedetto, sempre con la testa che gli era entrata sin dentro il collo e in silenzio, abbozzò un sorriso fissandomi negli occhi fino a quando non annuì.

Una sera, anzi era notte, forse quarant’anni fa, rientravo con il mio papà a Brindisi.

Ci fermammo a Jaddico e quando entrammo nel Santuario vidi una persona vicino al muro, anzi, meglio, vicino all’immagine della Madonna.

Era lui. C’era solo lui in chiesa.

Ci salutammo, ma non volli interrompere quel suo momento di intimità con la Madonna.

In quel momento pensai che doveva avere una fede forte per trovarsi lì a quell’ora, pensai che aveva qualcosa da chiedere alla Madonna e che quel conforto, del quale aveva bisogno, lo poteva trovare solo lì, davanti a quella Madonna, in quella chiesa, aperta anche di notte.

Una domenica mattina, tanti e tanti anni dopo, affacciandomi dalla finestra, lo vidi percorrere il marciapiede con indosso giacca e cravatta mentre stringeva una borsa nella mano destra.

Rimasi dietro alla finestra, senza farmi notare, e rimasi stupito, meravigliato, ma anche indeciso sulle conclusioni che affollavano la mia mente. Aspettavo solo di vederlo in banca per chiedere.

Fu così che mi sentii rispondere: “sono testimone di Geova.”

Ma era diventato testimone di Geova - mi chiedevo - oppure lo era sempre stato? Per un Testimone di Geova, pensavo, la curiosità di vedere il muro di Jaddico poteva essere appagata solo di notte, quando si è sicuri di non essere visti da nessuno.

Da quel momento io e Benedetto ci trovavamo su due rive opposte… in mezzo lo stesso mare nel quale nuotavamo senza mai incontrarci.

Lui cercava di farmi riflettere per convincermi delle sue certezze, ma io non potevo accettare nessun tipo di riflessione. Quando ho reso per iscritto la mia testimonianza sui fatti di Jaddico, quando ho voluto raccontare la mia esperienza sulla Luce, ho scritto che io ero presente, e questo basta. Per questo motivo mi chiedo su cosa dovevo riflettere: quella Luce era la Luce della Madonna!

I primi sogni con cui papà veniva invitato ad andare a Jaddico gli arrivavano dalla Madonna, quella stessa Madonna che noi riconosciamo come vergine e che non è venerata dai Testimoni. Già tutto questo mi bastava e per me il discorso con i Testimoni di Geova era esaurito. Chiuso.

Ma nei vari incontri con Benedetto il discorso andava a finire sempre lì ed ognuno cercava di far valere le proprie ragioni.

Tante volte Benedetto, prima di andare via dalla banca, mi salutava e mi diceva: “ti voglio bene”. La nostra è una amicizia vera.

Devo tantissimo a Benedetto, lui non lo sa, perché in maniera indiretta mi ha spinto ad aprire la Bibbia sempre più di frequente, ad aprire qualsiasi libro del quale disponevo, perchè con lui potessi reggere il confronto.

Ed ora veniamo al punto.

Il 15 luglio 1993 Teodoro muore. Alcuni mesi dopo la sua morte, dopo tanto parlare, con il benestare di Padre Mario Pichierri, al tempo rettore del Santuario di Jaddico, finalmente si decide di voler ricordare Teodoro con un busto da sistemare sul piazzale del Santuario.

Il prof. Alberto Del Sordo suggerisce il nome dello scultore e ci parla del prof. Giuseppe Marzano dicendoci che aveva studiato all'Istituto d'Arte di Lecce e all'Accademia di Belle Arti di Firenze, che era ordinario della cattedra di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico di Brindisi e che conosceva la qualità e il pregio dei suoi lavori.

Già dai primi incontri con il prof. Giuseppe Marzano si decide di dargli l’incarico per la realizzazione del busto. E mentre il busto veniva realizzato ci si rendeva conto che non era ancora somigliante e dopo alcuni tentativi il prof. Marzano, anziché continuare a correggere i lineamenti del viso, preferì cancellare tutto e ripartire da zero.

Ancora una volta il busto veniva rimodellato, ma questa volta in maniera veramente somigliante.

Si, era proprio lui, era Teodoro.

Tutti eravamo d’accordo su questo. Era d'accordo Giuseppina, la moglie di Teodoro, e la figlia Tina, come pure Padre Mario e il prof. Del Sordo, finchè il prof. Marzano una sera mi dice che per considerare definitivo e ben riuscito il lavoro bisognava fare vedere il busto ad una persona estranea, una persona che non sapeva nulla dell’esistenza del busto.

Pochi giorni dopo Benedetto entra in banca e subito penso a lui come alla mia cavia, così gli chiedo se vuole prendere con me qualcosa al bar. Gli indico un bar per raggiungere il quale saremmo dovuti passare da vicino lo studio di Marzano e così usciamo per un caffè veloce.

Quindi raggiungiamo il vecchio rione di San Pietro degli Schiavoni, dove c’è lo studio di Marzano, e qui arrivati gli dico: “giacché ci troviamo qui fammi parlare con una persona. Anzi, vieni con me”.

Appena dentro Benedetto vede il busto di papà, che in quel momento è sistemato su un piedistallo, in posizione centrale nello studio stesso, ed esclama: “ma questo è tuo papà!”

Io e Marzano ci guardiamo negli occhi e in questo modo, senza proferir verbo alcuno, ci diciamo che il lavoro è stato fatto bene. Era la verifica che ci serviva.

A questo punto chi sta leggendo si sta chiedendo: “E il caffè?” Be’ quello ce l’ha offerto lo stesso Marzano nel suo studio.

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Accadde il 25 aprile 1963

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