Il Prof. Giuseppe Marzano mentre perfeziona alcuni particolari del busto di Teodoro.

Il busto di Teodoro D'Amici posizionato sul piazzale del Santuario di Jaddico.
Il busto di Teodoro D’Amici e il mio amico testimone di Geova.
Nel dicembre 1994 viene collocato sul piazzale del Santuario di
Jaddico il busto che ricorda la persona di Teodoro D'Amici, l'uomo
che la Madonna scelse e al quale affidò i suoi progetti riguardanti
la realizzazione di una chiesa. Sempre nello stesso mese, il 18
dicembre, il busto viene scoperto e benedetto dai Padri Carmelitani
Scalzi, nella persona del Rettore del Santuario, Padre Mario
Pichierri.
In questo numero vogliamo ricordare alcuni particolari circa le
difficoltà trovate nella realizzazione del busto e le modalità con
cui si è arrivati a stabilire la fedele somiglianza tra il busto
realizzato e il volto di Teodoro.
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Ho sempre pensato che per rendere autentica una testimonianza bisogna
scrivere nome e cognome della persona che ci consente di raccontare
quanto è accaduto; questa volta però non è possibile farlo, perché
il mio amico, pur volendomi incontrare
per rileggere e così confermare la fedeltà di quanto narrato in
riferimento ai fatti
realmente accaduti, è sempre stato impegnato, così mi dice
e, di conseguenza, abbiamo
sempre rimandato a nuovi appuntamenti.
Questo è quello che è accaduto per mesi e mesi, forse per più di
un anno, per cui l'ultima volta che gli ho rinnovato la richiesta,
giacché mi diceva di essere disponibile all'incontro e mi indicava
anche una data, gli ho detto: "quando arriverà il momento, ti
telefonerò per la conferma dell'incontro e sicuramente mi dirai che
sei impegnato, quindi non ti chiamo più ma aspetterò una tua
telefonata, tanto conosci il mio numero". Era l'unico modo per
farlo venire allo scoperto e capire se veramente voleva autorizzare
la pubblicazione del brano. Dopo quella volta questa telefonata non è
mai arrivata.
Quindi non avendo avuto la sua autorizzazione a scrivere quello che
più avanti leggeremo, non posso scrivere il suo nome (e nemmeno il
cognome), ma userò un nome di fantasia.
Benedetta privacy!
Lo chiameremo Benedetto.
E’ una vecchia amicizia quella che mi lega a Benedetto, ma forse
devo dire antica.
Il primo ricordo che ho di lui è di quando in banca doveva cambiare
un assegno e quel cassiere gli chiese se era conosciuto da qualcuno e
lui indicò me. Io dissi di non conoscerlo.
Sicuramente avevamo chiacchierato prima di quella giornata, forse gli
avevo già fatto qualche operazione allo sportello, ma la mia, come
sempre dico, non è una buona memoria.
Ci rimase male, poi facemmo amicizia ed entrammo in confidenza.
Veniva spesso in banca per sbrigare operazioni per conto della ditta
presso la quale lavorava, finché un giorno, in una mattinata di rara
tranquillità, appena lo vidi entrare in banca gli passai una
telefonata: “Benedetto, una telefonata per te”, e subito gli
consegnai la cornetta del telefono.
Pochi secondi prima avevo fatto il numero del custode del cimitero,
per cui lui ebbe appena il tempo di sentire un ultimo squillo e poi
sentirsi dire: “Chi parla?”
Capì subito e si affrettò a scusarsi quasi balbettando.
Con gli altri colleghi, complici per avere con loro architettato la
manovra, eravamo lì a guardarlo e aspettavamo una sua reazione.
Invece Benedetto, sempre con la testa che gli era entrata sin dentro
il collo e in silenzio, abbozzò un sorriso fissandomi negli occhi
fino a quando non annuì.
Una sera, anzi era notte, forse quarant’anni fa, rientravo con il
mio papà a Brindisi.
Ci fermammo a Jaddico e quando entrammo nel Santuario vidi una
persona vicino al muro, anzi, meglio, vicino all’immagine della
Madonna.
Era lui. C’era solo lui in chiesa.
Ci salutammo, ma non volli interrompere quel suo momento di intimità
con la Madonna.
In quel momento pensai che doveva avere una fede forte per trovarsi
lì a quell’ora, pensai che aveva qualcosa da chiedere alla Madonna
e che quel conforto, del quale aveva bisogno, lo poteva trovare solo
lì, davanti a quella Madonna, in quella chiesa, aperta anche di
notte.
Una domenica mattina, tanti e tanti anni dopo, affacciandomi dalla
finestra, lo vidi percorrere il marciapiede con indosso giacca e
cravatta mentre stringeva una borsa nella mano destra.
Rimasi dietro alla finestra, senza farmi notare, e rimasi stupito,
meravigliato, ma anche indeciso sulle conclusioni che affollavano la
mia mente. Aspettavo solo di vederlo in banca per chiedere.
Fu così che mi sentii rispondere: “sono testimone di Geova.”
Ma era diventato testimone di Geova - mi chiedevo - oppure lo era
sempre stato? Per un Testimone di Geova, pensavo, la curiosità di
vedere il muro di Jaddico poteva essere appagata solo di notte,
quando si è sicuri di non essere visti da nessuno.
Da quel momento io e Benedetto ci trovavamo su due rive opposte…
in mezzo lo stesso mare nel quale nuotavamo senza mai incontrarci.
Lui cercava di farmi riflettere per convincermi delle sue certezze,
ma io non potevo accettare nessun tipo di riflessione. Quando ho reso
per iscritto la mia testimonianza sui fatti di Jaddico, quando ho
voluto raccontare la mia esperienza sulla Luce, ho scritto che io ero
presente, e questo basta. Per questo motivo mi chiedo su cosa dovevo
riflettere: quella Luce era la Luce della Madonna!
I primi sogni con cui papà veniva invitato ad andare a Jaddico gli
arrivavano dalla Madonna, quella stessa Madonna che noi riconosciamo
come vergine e che non è venerata dai Testimoni. Già tutto questo
mi bastava e per me il discorso con i Testimoni di Geova era
esaurito. Chiuso.
Ma nei vari incontri con Benedetto il discorso andava a finire
sempre lì ed ognuno cercava di far valere le proprie ragioni.
Tante volte Benedetto, prima di andare via dalla banca, mi
salutava e mi diceva: “ti voglio bene”. La nostra è una
amicizia vera.
Devo tantissimo a Benedetto, lui non lo sa, perché in maniera
indiretta mi ha spinto ad aprire la Bibbia sempre più di frequente,
ad aprire qualsiasi libro del quale disponevo, perchè con lui
potessi reggere il confronto.
Ed ora veniamo al punto.
Il 15 luglio 1993 Teodoro muore. Alcuni mesi dopo la sua morte,
dopo tanto parlare, con il benestare di Padre Mario Pichierri, al
tempo rettore del Santuario di Jaddico, finalmente si decide di voler
ricordare Teodoro con un busto da sistemare sul piazzale del
Santuario.
Il prof. Alberto Del Sordo suggerisce il nome dello scultore e ci
parla del prof. Giuseppe Marzano dicendoci che aveva studiato
all'Istituto d'Arte di Lecce e all'Accademia di Belle Arti di
Firenze, che era ordinario della cattedra di Discipline Pittoriche
presso il Liceo Artistico di Brindisi e che conosceva la qualità e
il pregio dei suoi lavori.
Già dai primi incontri con il prof. Giuseppe Marzano si decide di
dargli l’incarico per la realizzazione del busto. E mentre il busto
veniva realizzato ci si rendeva conto che non era ancora somigliante
e dopo alcuni tentativi il prof. Marzano, anziché continuare a
correggere i lineamenti del viso, preferì cancellare tutto e
ripartire da zero.
Ancora una volta il busto veniva rimodellato, ma questa volta in
maniera veramente somigliante.
Si, era proprio lui, era Teodoro.
Tutti eravamo d’accordo su questo. Era d'accordo Giuseppina, la
moglie di Teodoro, e la figlia Tina, come pure Padre Mario e il prof.
Del Sordo, finchè il prof. Marzano una sera mi dice che per
considerare definitivo e ben riuscito il lavoro bisognava fare vedere
il busto ad una persona estranea, una persona che non sapeva nulla
dell’esistenza del busto.
Pochi giorni dopo Benedetto
entra in banca e subito penso a lui come alla mia cavia, così gli
chiedo se vuole prendere con me qualcosa al bar. Gli indico un bar
per raggiungere il quale saremmo dovuti passare da vicino lo studio
di Marzano e così usciamo per un caffè veloce.
Quindi raggiungiamo il vecchio rione di San Pietro degli Schiavoni,
dove c’è lo studio di Marzano, e qui arrivati gli dico: “giacché
ci troviamo qui fammi parlare con una persona. Anzi, vieni con me”.
Appena dentro Benedetto vede il busto di papà, che in quel momento
è sistemato su un piedistallo, in posizione centrale nello studio
stesso, ed esclama: “ma questo è tuo papà!”
Io e Marzano ci guardiamo negli occhi e in questo modo, senza
proferir verbo alcuno, ci diciamo che il lavoro è stato fatto bene.
Era la verifica che ci serviva.
A questo punto chi sta leggendo si sta chiedendo: “E il caffè?”
Be’ quello ce l’ha offerto lo stesso Marzano nel suo studio.